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La reingegnerizzazione dei processi in azienda ospedaliera: 10 errori da evitare

Pubblicato il 15 Aprile 2020 Tempo di lettura: 3.6 min

In tempo di emergenza Coronavirus non esistono solo le politiche e le scelte di sistema, a livello istituzionale, ma è necessario prestare attenzione soprattutto a quello che avviene all’interno delle strutture che erogano prestazioni sanitarie. Infatti, oltre alla dotazione tecnologica disponibile, determinata dal numero di posti letto e dal personale (comunemente chiamate “risorse”), un elemento essenziale all’interno di una organizzazione sanitaria risulta essere proprio la gestione dei processi e dei percorsi.

Ecco un decalogo dei principali errori da evitare, elaborato dal Centro sull’Economia e il Management nella Sanità e nel Sociale della LIUC Business School, da anni in prima linea su queste tematiche sia in termini di attività di ricerca, sia per la formazione manageriale degli operatori sanitari che devono mettere in pratica le metodologie apprese nelle loro realtà lavorative quotidiane.

  • Non creare un Pronto Soccorso dedicato che possa consentire di separare il percorso dei pazienti infetti da COVID-19, rispetto al percorso dei pazienti non infetti.
  • Lasciare che i professionisti sanitari possano prestare servizio di cura e assistenza, anche in regime consulenziale, all’interno delle Unità Operative che si occupano sia di pazienti degenti affetti da COVID, sia di pazienti degenti NON COVID.
  • Non effettuare test diagnostici (quali i tamponi) a tutti professionisti sanitari, che possono rappresentare un possibile veicolo di contagio, indipendentemente dalla manifestazione di sintomi clinici.
  • Non limitare l’accesso ai pazienti con attività ambulatoriali o chirurgiche programmate, ma senza caratteristiche di urgenza, in un presidio ospedaliero che si occupa prevalentemente di pazienti COVID-19.
  • Non adeguare le procedure aziendali e i protocolli delle Unità Operative, sulla scorta delle linee guida dedicate alla gestione dell’emergenza da COVID-19, e non fornire un’adeguata comunicazione al personale sanitario.
  • Non creare un’Unità di crisi per la gestione e programmazione delle attività giornaliere e settimanali, pensando alla sola gestione giornaliera e senza svolgere attività di pianificazione, misurazione e controllo, non ipotizzando i possibili impatti su processi interni e organizzazione, e non coinvolgendo, in queste attività, una rappresentanza di tutti i profili professionali che a vario titolo sono coinvolti nella gestione della problematica attuale, quali: la direzione strategica,i dirigenti medici (specialisti in malattie infettive, microbiologia, radiologia, terapia intensiva, medicina interna, pneumologia,etc…), le professioni sanitarie, gli ingegneri gestionali e clinici, i farmacisti, l’ufficio acquisti, l’ufficio del personale, l’ufficio qualità e il controllo di gestione.
  • Non premurarsi di attivare una stringente programmazione e pianificazione dei fabbisogni tecnologici, con particolare riguardo ai dispositivi ad alto volume di utilizzo o con caratteristiche di difficoltà di approvvigionamento(per esempio iDispositivi di Protezione Individuale, per gli alti volumi richiesti, oppure C-PAP, respiratori, ma anche la necessità di garantire TC o RX per conferma di diagnosi e stadiazione, etc…).
  • Non strutturare, nelle aree comuni o degli spazi di attesa, percorsi interni aziendali, che permettano di evitare lo svilupparsi di assembramenti, nonché il mantenimento della distanza di sicurezza.
  • Non fornire al personale della struttura sanitaria, i Dispositivi di Protezione Individuale adeguati al contenimento del contagio, non consentendo di seguire quanto suggerito dalle principali linee guida in materia.
  • Non programmare e mettere in atto la corretta sanificazione degli spazi e delle tecnologie sanitarie, senza dimenticarsi delle ambulanze, anch’esse vettori di contagio.

 

Emanuele Porazzi e Lucrezia Ferrario

Centro su Economia e Management in Sanità e nel Sociale

 

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