Cost management: quanto lo conoscono e quanto lo utilizzano le imprese italiane?
Pubblicato il 25 Novembre 2022 Tempo di lettura: 5 minQual è il livello di conoscenza e di diffusione delle pratiche di cost management in Italia? Il Centro su Costi e Performance della LIUC Business School ha reso noti nel corso di un incontro tenutosi oggi, venerdì 25 novembre 2022 alla LIUC, i risultati di una survey sul tema, realizzata con la sponsorizzazione di Cosman, società specializzata nella cost reduction e nel recupero degli sprechi presenti nello svolgimento dei processi.
La survey è stata realizzata fra aprile e settembre 2022 e ha visto coinvolte più di 500 imprese di cui 235 hanno presentato le loro esperienze. Nella quasi totalità dei casi le imprese erano di natura privata, con qualche eccezione rappresentata da realtà a partecipazione statale o non profit.
Due gli obiettivi essenziali della ricerca: da un lato una valutazione dei progressi maturati dalle imprese italiane nel costing, dall’altro una verifica sullo stato di arretratezza delle stesse imprese rispetto a questo mondo, a partire da un focus su una serie di casi aziendali.
Delle imprese analizzate, circa la metà ha già introdotto in azienda una soluzione di cost management. Un risultato che può dirsi, soprattutto nella sua lettura evolutiva nel tempo, sufficientemente positivo.
“A distanza di oltre 30 anni dai primi contributi in materia – spiega il prof. Alberto Bubbio, Direttore del Centro su Costi e Performance della LIUC Business School – qualcosa si sta muovendo nelle pratiche di costing anche nelle imprese italiane. Il ‘ritardo temporale’ è quello cronico. È stato così anche nell’area Planning e control per il Budget. Purtroppo alle nostre aziende sembra che sia necessario arrivare ad una qualche forma di ‘obbligo’ per l’introduzione di nuove prassi. Non si riesce a prevenire, ad intervenire prima”.
Significativa, non tanto nei numeri quanto nel valore, la presenza di 4 società benefit nel campione. “Il fenomeno è meno strano di quanto si possa pensare – continua il prof. Bubbio – poiché in queste realtà si pone molta attenzione ad un processo equilibrato di allocazione delle risorse alle attività gestionali in grado di facilitare il conseguimento della tripla bottom line: profit, people e planet”.
Due i principali motivi per i quali le imprese hanno scelto il costing. Da un lato ci sono l’accresciuta complessità gestionale e la rilevanza assunta dai costi legati alla complessità, il vero nuovo driver dei costi, che si va ad abbinare ai volumi. Dall’altro lato questa scelta nasce dalla necessità di conoscere i costi dovuti alla gestione dei clienti e di poter elaborare un conto economico completato, dopo i margini, dai costi delle attività/processi sostenuti per gestire il cliente.
E i tempi? Per l’introduzione dell’approccio e dei relativi strumenti sono stati nel 60% dei casi inferiori all’anno. D’altra parte tra gli svantaggi indicati dai rispondenti c’è quello dei costi associati ai tempi lunghi, alla complessità del sistema, ai calcoli da effettuare e alla cultura da creare nella propria realtà aziendale.
“I vantaggi invece – sottolinea il prof. Bubbio – riguardano prima di tutto l’elaborazione di conti economici più trasparenti e un maggior coinvolgimento dei responsabili di canale e di cliente in relazione al raggiungimento dei risultati desiderati. Inoltre, con l’adozione del cost management si diffonde e si condivide una cultura manageriale che muove dai risultati eco-fin e va alla ricerca dei driver di tali risultati. Si crea infine una maggior consapevolezza circa le «cose da fare» per raggiungere i risultati di Budget (quali processi intervenire, quali variabili anche «non financial» manovrare e quali azioni intraprendere)”.
E come la pensa chi sceglie strade diverse? “Non tutte le imprese – continua Bubbio – devono introdurre le pratiche di cost management, anche se queste crescono di utilità all’aumentare della complessità e delle strategie basate su una lettura della gestione per processi o strategie che suggeriscono il ricorso al project management. Coloro che scelgono di non adottarlo lo fanno, dati della survey alla mano, per una mancata conoscenza delle logiche, per ragioni di costi e per motivazioni insite nella natura dell’impresa stessa (opera in un business semplice, ha una bassa complessità nel processo produttivo, ha impostazioni strategico-organizzative diverse da quelle per processi/progetti)”.
Tornando al totale delle imprese che hanno già introdotto le logiche di cost management, si può notare come circa la metà ha introdotto l’Activity Based Costing (Abc), talvolta con impostazioni meno analitiche del tipo process costing o Lean Accounting. Molte di queste imprese hanno poi abbinato a queste impostazioni del sistema l’utilizzo di altri strumenti come Project management accounting, Target costing, Quality costing, Life cycle costing, Total cost of ownership, Throughput accounting.
Dal punto di vista del metodo di calcolo adottato, c’è una netta prevalenza del Full Costing (55%) seguito dal Traceable costing (33,6%), mentre la percentuale delle imprese che ha applicato il variable costing rappresenta solo il 13,3%. Infine, il 4% è ricorso a soluzioni ibride.
“A livello di soluzioni informatiche utilizzate – continua il prof. Bubbio – emerge che c’è solo l’imbarazzo della scelta tra Sap, seguita dagli Erp di Oracle e Formula-Sage e software più mirati come quello di Cosman. Insomma dal punto di vista informatico, con l’arrivo anche del digitale, non ci sono più scuse.
In linea generale, il «quadro» che emerge dalla ricerca è positivo: le imprese italiane in materia di analisi e calcolo dei costi si stanno aprendo a nuovi approcci e a nuovi strumenti che la teoria già da tempo ha messo a disposizione e che, in logica di confronto competitivo, molte imprese estere già hanno adottato”.